Test falsi ed un’organizzazione campana basata su tamponi falsi che rendono quindi totalmente inutile il risultato per i cittadini
Una maxi truffa ai danni dei cittadini è stata esercitata in Campania durante la prima parte dell’emergenza Coronavirus. A condurre una vera e propria inchiesta ci ha pensato TPI che ha intervistato i protagonisti di questo spregevole gesto.
“Tamponi veloci, a basso prezzo, senza fila e anche a domicilio”: sembra poter essere il lieto fine di una storia tutta all’italiana, ma purtroppo non è così. Infatti da quanto emerso dall’inchiesta, i test rifilati ai presunti positivi erano praticamente contraffatti.
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Da qui un vero e proprio giro d’affari con alcuni test già usati su altri pazienti, tamponi sprovvisti di certificato sanitario e processati con macchinari utilizzati per testare la brucellosi nelle vacche. Tutto ciò ha girato un gran giro di denaro che ha favorito tamponi illeciti e dal risultato a dir poco dubbio.
Tamponi falsi: risultati entro 20 minuti
“Io gli facevo il tampone e lo mettevo su una striscetta già usata e non gli dicevo niente. Non attendevo nemmeno i 20 minuti e dicevo: è negativo guagliò, tutto a posto! Capito? Tanto io già so che quella striscetta è negativa quindi non tengo il rischio”: questa solo una delle tante intercettazioni che testimoniano quanto accaduto.
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Queste le parole intercettate dalla conversazione tra i carabinieri del NAS di Napoli che hanno scoperto un’organizzazione, che al momento conta 17 indagati, che effettuava tamponi senza avere i macchinari adatti a processare i campioni, né il personale specializzato per poterli eseguire.
Coronavirus, dati sui contagi quindi contraffatti?
Ora sorge quindi anche e soprattutto il dubbio amletico sui dati riportati dalle Asl e dagli stessi bollettini Regionali e Nazionali. Sono stati riportati all’interno anche i test effettuati in maniera illecita? Se fosse così si avrebbe uno sbalzamento dei casi e soprattutto una mancanza di coincidenza con i contagiati reali.
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Intanto l’inchiesta di TPI continua e fa emergere che la “banda dei tamponi” era coordinata da un dottore del 118, il Servizio Sanitario di Urgenza ed Emergenza. Questo venendo meno al vincolo di esclusività alla sanità pubblica, approfittava della propria posizione di medico, dello stato pandemico e del conseguente assoggettamento psicologico da parte della gente.