Il cemento dell’antica Roma poteva autorigenerarsi: la scoperta degli studiosi lascia tutti senza parole. Quali sono i risvolti per il futuro.
In Italia sono ancora evidenti i resti delle strutture architettoniche dell’antica Roma. Un patrimonio preziosissimo che ha reso il nostro Bel Paese una delle mete principali del turismo culturale nel mondo.
Per esempio, il Pantheon di Roma è uno degli edifici storici con la cupola in cemento non armato più grande di sempre, resistito al trascorrere del tempo proprio grazie all’affidabilità dei materiali romani. Per millenni gli studiosi hanno cercato di capire che cosa rendesse il cemento romano tanto durevole e di recente sono finalmente emerse alcune scoperte inaspettate a proposito di questo incredibile materiale. Stando a quanto pubblicato sulla rivista Scienze Advances, sembrerebbe proprio che i romani nelle loro costruzioni impiegassero la tecnica della ‘miscelazione a caldo’ con la calce viva che conferiva al cemento la proprietà dell’autoguarigione. Ciò significa, quindi, che questo poteva rigenerarsi.
Il cemento dell’antica Roma poteva autorigenerarsi
Come abbiamo anticipato poco fa, stando alle ultime analisi condotte sul cemento usato nell’antica Roma sembra proprio che questo avesse la proprietà di autorigenerarsi. Di fatto, questo incredibile calcestruzzo era composto con un mix di malta semiliquida e aggregato. In particolare, pezzi di pietra e di mattoni grandi come un pugno. A testimonianza di queste tecniche di fabbricazione, l’architetto ed ingegnere romano Vitruvio nel De architectura ha fornito una serie di spiegazioni su come costruire delle opere funerarie destinate a durare nel tempo. Attraverso questi importanti documenti e alle recenti scoperte fatte dagli studiosi si è finalmente compreso che il potassio presente nella malta progressivamente andava dissolvendosi per poi riconfigurarsi come legante. Ciò faceva sì che le zone interfacciali si evolvessero costantemente grazie al rimodellamento a lungo termine.
La scoperta dei clasti in calce
Successivamente, si è cercato di spiegare perché nelle costruzioni romane fossero presenti anche dei clasti in calce. A tal proposito, si è scoperto che questi altro non erano che diverse forme di carbonato di calcio formatesi a temperature estremamente elevate, ovvero con la tecnica della miscelazione a caldo.
Questo sistema, di fatto, aveva il vantaggio di rendere più rapida e durevole la costruzione stessa, conferendole fra l’altro delle proprietà di autoguarigione. Ciò significa nel concreto che quando iniziavano a formarsi delle crepe nel calcestruzzo i clasti reagivano con l’acqua producendo una soluzione satura di calcio che andava a riempire le fessure, rafforzando il composto. Una scoperta davvero rivoluzionaria che, se attentamente combinata con le moderne tecniche edilizie, potrebbe avere dei risvolti importanti anche per il futuro dell’architettura.
Articolo di Veronica Elia