Gabriele Corsi stavolta si mostra con una sensibilità enorme e fa una dedica straziante e commovente per la gigantesca disgrazia
L’emergenza sanitaria che ormai da un anno stiamo vivendo continua a mettere l’intera umanità in ginocchio. Il coronavirus non si ferma e in questo lunghissimo anno ha colpito tutti, la sensibilità di ognuno di noi in questi giorni di quarantena forzata è cresciuta molto. A parlarne oggi è Gabriele Corsi.
Il conduttore, amato ed apprezzato dal pubblico italiano, compie un gesto che commuove l’intero mondo social. Ogni giorno vengono diramati bollettini che registrano vittime, contagiati e scenari terribili di una guerra silenziosa.
Una volta superata questa battaglia le ferite sferrate rimarranno e nessuno potrà cancellare il nostro dolore. Perciò in questo scenario apocalittico, in molti tra attori, conduttori e vip di ogni genere si sono mossi a favore della campagna “io resto a casa“.
Tra questi ha commosso il web l’ultimo post che ha condiviso qualche mese fa Gabriele Corsi, conduttore radio e tv, oltre che volto del Trio Medusa. Il post, seguito da l’immagine sfuocata di una pagina di necrologi ha lasciato tutti senza parole.
” Era mio padre. Quello della foto un po’ sfocata nei necrologi di ieri. Era mio padre” inizia così la riflessione del conduttore dedicata a tutti coloro che in questi giorni d’emergenza non ce l’hanno fatta.
Il numero delle vittime di coronavirus aumenta giorno dopo giorno, soprattutto anziani o chi ha già una patologia pregressa. Sono loro i più fragili di fronte a questa pandemia. Ma anche giovani, la pandemia non guarda in faccia nessuno.
Poi continua con la una poesia: “Lo ricordo con una barba nera nera che mi insegnava a dare calci a un pallone nel parco sotto casa. Era mia madre. Quella signora elegante morta da sola in ospedale perché non si poteva entrare. Il dolore più grande. Lei. Da sola. Era mia madre. “
Un modo efficace per spiegare il sentimento che stanno provando migliaia di italiani in questo momento. Le parole sono state immediatamente commentate e condivise, facendo diventare il post tra i più popolari del conduttore. Corsi nei giorni scorsi si è più volte impegnato lanciando messaggi in cui spiegava l’importanza dello stare a casa.
Continuava poi: “Che mi faceva posto nel letto grande quando avevo la febbre e mi sembrava, sempre, l’unica cura possibile. Era mio zio. Quel signore con gli occhiali che se n’è andato tra i tanti ieri. Era mio zio” prosegue Gabriele.
“Lo stesso che mi portava a giocare con i modellini di aerei e mi faceva volare restando con i piedi a terra. Era mia zia. La signora senza foto. Solo data di nascita e di morte. Era mia zia.”
“Perché non possiamo neanche andare a casa sua a cercare una polaroid che la ritragga. Lei che a Natale mi ha regalato la prima macchina fotografica. Erano mio padre. Erano mia madre. Erano i miei zii, i miei vicini, i genitori, i parenti dei miei amici. Quelli che, adesso, non possiamo piangere.”
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“Quelli che, adesso, non possiamo abbracciarci per lenire il dolore. Quelli che tu non sai chi sono. Ma io sì. Quelli che, per qualcuno, sono “muoiono solo i vecchi”, “sì, ma erano già malati”, “ne muoiono molti di più per altre cause”.
E, se sei tra quelli, vuol dire che questo, tutto questo, non ti ha davvero insegnato niente.”
La commozione è istantanea se si pensa veramente al significato di queste parole. Alle migliaia di persone che entrano col terrore negli occhi nelle camere intensive improvvisate ma perfettamente gestite dal personale medico, eroi ,li hanno definiti, che quotidianamente cercano di salvare quante più vite possibili.
Questa lettera racconta il dramma dell’isolamento vissuto da chi sa che superando quella porta, per chissà quanti giorni o settimane non rivedrà più nessuno dei suoi cari, ma solo medici e infermieri dietro le loro tute protettive. Oggi a distanza di un anno siamo ancora qui, stanchi. Stanchi ma speranzosi di essere vicini alla fine di questo incubo.
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