Salgono i dubbi in Italia in merito all’efficacia delle mascherine cinesi che non sarebbero realmente utili contro l’espandersi del virus.
In Italia ci sono attualmente in circolazione circa 50 milioni di mascherine che proteggono meno di quanto dovrebbero. La truffa arriva direttamente dalla Cina, che ha venduto al nostro Paese mascherine spacciandole come Ffp2, ma che in realtà filtrano solo il 32%.
La vendita e la truffa
La segnalazione arriva da un importatore di Roma. Quest’ultimo, stava controllando il certificato di conformità in merito ad una consegna di 300mila mascherine cinesi del tipo Ffp2 e 250mila invece modello Ffp3. Sul suddetto documento vi era scritto “i prodotti sono adeguati allo standard En 149:2001+A1:2009, relativo alla direttiva Ce 425/2016 sui dispositivi di protezione individuale”. Pertanto, sicure ed a norma. Ma, ciò che desta in lui sospetto, è il secondo foglio.
Infatti, su questo secondo documento, vi è riportato l’esito di una prova di filtrazione fatta fare lo scorso luglio in un laboratorio accreditato spagnolo. Ed è proprio attraverso questo secondo certificato, che l’imprenditore scopre la truffa. Difatti, le mascherine Ffp2, che dovrebbero avere una capacità di filtraggio del ben 95%, in realtà hanno una capacità filtrante di appena il 36%. Ma non è finita qui. Infatti, neanche le Ffp3 sono a norma. Bensì, anche queste ultime hanno una capacità di filtraggio leggermente inferiore e non superano il test per la traspirazione.
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Mascherine non realmente efficaci?
Questo, però, non è il primo episodio anomalo riguardante le mascherine. Infatti, i NAS, da inizio Pandemia, hanno sequestrato ben 6 milioni dei suddetti dispositivi di sicurezza. Data la grande emergenza, e la relativa mancanza di guanti, mascherine, disinfettanti, il governo aveva deciso di importare i dispositivi dall’Estero anche se privi del marchio Ce.
Però, in ogni caso, era obbligatoria la presenza di determinati documenti, compresi i test report, che attestassero l’uguaglianza dei materiali. Pertanto, sin da subito decine di imprenditori si mettono in contatto con i loro fornitori. Ovviamente, la maggioranza di provenienza cinese. Così, iniziano ad offrire i loro dispositivi. Di pari passo, nascono però anche dei certificatori dell’ultimo momento, che in cambio di qualche soldo, sono pronti a timbrare i documenti necessari all’importazione.
Questo “gioco” inizia a subire delle interferenze quando arriva il commissario straordinario Domenico Arcuri. Quest’ultimo, ad agosto, aveva rescisso un contratto con la società Jc, che avrebbe dovuto importare ben 11 milioni di dispositivi. Quindi, vi è la rescissione del contratto e la relativa richiesta di danni. Il problema, però, fu che sul mercato era state messe ben 5 milioni delle suddette mascherine.
È doveroso sottolineare che medesima situazione è avvenuta anche con altre aziende. Ad esempio, con la Agmin Italy che avrebbe dovuto dare all’Italia delle mascherine tunisine. Ma, pure in questo caso, i documenti lasciavano spazio a non pochi dubbi.